Quanta storia nascosta in ogni angolo!
E a volte nemmeno tanto nascosta, come nel caso di San Cristoforo ad Aquilam, l’importante sito archeologico che sorge nella zona di Colombarone – un piccolo ghetto di case lungo la trafficata Statale Adriatica tra Gabicce e Gradara, ultimo tratto dell’antica via Flaminia, l’arteria romana che collegava Roma e Rimini.

Facciata della vecchia chiesa oggi, vista dalla Statale Adriatica. Alle sue spalle gli scavi e si intravede la via San Cristoforo che arriva fino a Baia Valllugola
Alle spalle del sito, che si trova immerso nel Parco Naturale del Monte San Bartolo, un intrecciarsi di strade e sentieri scavalcano il monte collegandolo tuttora al porto di Vallugola, un antico approdo molto utilizzato già da Greci e Romani almeno fino ad inizio ‘600, quando venne costruito il porto di Pesaro ad opera dei Della Rovere.
Tutta l’area era già stata oggetto di scavi nel corso del XVIII sec, grazie all’interessamento dello storico ed erudito pesarese Annibale degli Abbati Olivieri (1709-1789) e dell’arciprete di Casteldimezzo, da cui dipendeva Colombarone. Grazie ad un lavoro di minuziosa ricerca e grande rigore venne alla luce la struttura di una basilica paleocristiana, detta di San Cristoforo “ad Aquilam”, già citata nella fonte medievale del Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis quale luogo di incontro lungo la Flaminia – “a 50 miglia da Ravenna” – tra l’esarca Eutiche, comandante militare dei Bizantini d’Italia e papa Zaccaria, avvenuto nel 743 d.C., per discutere della pericolosa discesa dei Longobardi di Liutprando verso Ravenna.
Ciò che emerse dagli scavi, tra cui l’abside, venne poi riportato su pianta dallo studioso e architetto pesarese Gianandrea Lazzarini. Fu il ritrovamento di questa planimetria, inserita nelle Memorie di Gradara dell’Olivieri, presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro nel 1980, a fare ripartire l’interesse e gli studi sul luogo. Grazie al lavoro condiviso tra il Comune di Pesaro, l’Ente Parco Naturale San Bartolo e il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna, nel 1983 ripartirono nuovi scavi che, dopo 25 anni di studi e ricerche, hanno dimostrato l’importanza storica di questo sito. A metà degli anni ’90 sono venuti alla luce i resti di una domus tardoimperiale di notevoli dimensioni – una rarità nella regione Marche – difficile da rinvenire proprio perché nel corso degli anni si erano in parte sovrapposte le strutture della basilica, un livello di macerie lasciate dagli scavi settecenteschi e le varie costruzioni e demolizioni successive che ne hanno alterato la stratigrafia.
In epoca romana infatti, il sito si trovava in un’area strategica nel territorio di Pisaurum, immerso nel paesaggio naturale del Monte San Bartolo, non lontano dal mare e a ridosso della Flaminia. La zona era fertile ed abitata e doveva trovarsi qui presumibilmente anche una mansio, una sorta di locanda con lo stemma di un’Aquila (da qui forse il termine ad Aquilam, cioè in latino presso l’Aquila) per il ristoro dei pellegrini in viaggio e la sosta dei cavalli. Proprio in questo villaggio immerso nel verde, venne costruita una lussuosa residenza di campagna, con un grande cortile, numerose stanze affrescate, sale da cerimonia e da banchetto, un’ampia zona termale e giochi d’acqua a testimonianza dell’enorme ricchezza dei proprietari – ad oggi purtroppo sconosciuti – come dimostrato anche dai mosaici pavimentali rinvenuti, policromi ed in bianco e nero, che permettono di datare la domus in un periodo compreso tra il III e VI secolo d.C..
Dopo un periodo di abbandono nel VI sec, alcuni ambienti andarono in rovina mentre altre stanze furono dedicate alla sepoltura dei defunti tra il VII ed il X sec, come testimoniato dalle numerose tombe a cassa rinvenute.
Gli scavi* hanno permesso di conoscere a fondo la storia stratigrafica del sito archeologico, ovvero le varie fasi edilizie dell’edificio – domus tardo romana del III-IV sec, basilica paleocristiana del VI secolo, pieve medievale nel X sec e Chiesuola del XII sec., demolita nella seconda metà dell’800 e ricostruita poi più a valle.
L’area archeologica è aperta al pubblico dal 2008.
Per info www.archeopesaro.it
*Gli scavi archeologici sono stati promossi e finanziati dal Comune di Pesaro e
diretti dal Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna
in accordo con la Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche,
l’Arcidiocesi di Pesaro, la Parrocchia di Colombarone,
con la partecipazione dell’Ente Parco Naturale Monte San Bartolo.
Importante il sostegno finanziario di Arcus spa, della Provincia di Pesaro e Urbino
e della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
e il contributo di sponsor (IFI, Banca di Credito Cooperativo di Gradara e i Guzzini)
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